Ogni cosa di cui noi ci prendiamo cura, può trasformarsi in qualcosa di magnifico.
Mi sono imbattuta tempo fa, su una pagina Instagram che si occupava di allevamento delle farfalle. In effetti, acquistando una smartbox, contenete 5 bruchi, potevi prenderti cura di loro, fornendo tutte le cure necessarie, farle trasformare in crisalidi, che alla loro trasformazione finale, sarebbero diventate magnifiche farfalle da liberare al cielo.
Questo mi fece pensare tanto ai nostri ragazzi.
Molti arrivano in comunità soli, senza cure, senza punti di riferimento, credendo di non avere altre possibilità.
Responsabilizzarli, alla cura dell’altro non è una cosa semplice. Cosi ho pensato… perché non proporlo ai nostri ragazzi…? Perché non farli prendere cura di piccoli bruchi?
Il progetto piacque a tutta l’equipe, ma i ragazzi quando ne vennero al corrente, risero, credendo che fosse una cosa stupida, che da quei bruchi non sarebbe nata nessuna farfalla.
Con lo scatolino in mano, piena di dubbi, iniziai a parlare, e a capire con loro come approcciarsi a questa nuova esperienza. Scettica quanto loro, timorosa di un eventuale fallimento, mi feci coraggio e cominciai. Cercai di autoconvincermi di farcela. Eppure era una cosa semplice: avere quel foglietto tra le mani, che ti indicava tutta la procedura da fare, la tempistica, la casetta, il cibo, la temperatura. Eppure avevo paura che se non fosse nata nessuna farfalla, avrei forse confermato quello che i ragazzi pensavano: che prendersi cura di quei bruchi fosse una perdita di tempo.
Iniziammo. Coinvolsi tutti i ragazzi, che prendevano poco sul serio quello che stavano facendo, ma la curiosità li avvolse tutti attorno a quella scatolina con quei bruchi apparentemente insignificanti. Preparammo il cibo, e lo depositammo nella loro scatoletta. Li lasciammo cosi a riposare. I giorni a seguire tutti incuriositi, verificavano l’andamento della loro crescita. Dopo 3 giorni, morì il primo bruco. Forse la temperatura troppo alta? Un altro bruco troppo pigro, non riusciva a cibarsi abbastanza, lasciandosi cosi andare. Qualcun altro invece, forte e grosso, gironzolava veloce, raggiungendo i centimetri giusti per cambiare il suo habitat. Spostammo i superstiti in una nuova casetta con dell’altro cibo.
Dopo circa 5 giorni notammo che qualcosa non andava. I bruchi non si muovevano più. Uno era diventato di colore nero, purtroppo non era riuscito a sopravvivere. Gli altri due erano fermi e rigidi. Erano diventate delle crisalidi. Li spostammo in una nuova casa. I ragazzi ridevano, dicevano: sono tutti morti, che perdita di tempo.
Io continuavo a crederci, dovevano trasformarsi.
Iniziai a pensare a cosa dire nel caso qualcosa fosse andato storto. Come giustificare quel tempo speso.
Una mattina ricevetti la chiamata dalla mia collega: Anna è nata la farfalla. Quasi non ci credevo. Ci eravamo riusciti. Una su cinque era diventata una bellissima farfalla, liberando le sue ali. Volava nella scatolina pronta per prendere il volo verso la libertà. Uno dei ragazzi, decise così di liberarla dalla sua finestra, con la speranza che a breve anche lui avrebbe ottenuto quella stessa sensazione: Volare alto.
Beh alla fine di questa piccola storia, i ragazzi hanno detto: Wau! veramente ci siamo riusciti a far nascere almeno una farfalla. Ed io emozionata, ho pensato a loro, a quanto noi operatori spesso abbiamo il timore di non riuscire a dargli quella capacità poi di essere liberi nel modo giusto. La speranza ci rende grandi sognatori, e dai piccoli sogni che si ottengono grandi risultati.
Anna Pasquariello, educatrice comunità alloggio “Il Sogno” di Napoli