Formazione, aggiornamento e condivisione. Sono queste le parole chiave della tre giorni – dal 30 agosto al 1 settembre – vissuta nella suggestiva cornice di Pacognano dagli operatori della carità in servizio per le realtà salesiane del sud. Nel corso dello stage si sono susseguiti gli interventi e le testimonianze di laici e religiosi attivi nel sociale. I dibattiti, moderati da don Antonio Carbone, Assistente Sociale Presidente del “Comitato Interregionale SCS/CNOS Don Bosco al Sud”, sono nati in un clima di complicità e di maturità, con l’intenzione di trovare una linea comune volta al miglioramento della propria azione verso il prossimo.
La sensibilità per il dolore e la “cultura del sogno” sono stati al centro, più o meno uniformemente, delle parole di tutti i protagonisti del convegno. Dalle varie riflessioni sono emerse le difficoltà di operare in un contesto avverso e spesso scoraggiante, ma anche la consapevolezza che la passione educativa e il desiderio di formare cittadini onesti e cristiani può essere più forte del vento contrario. “Il bravo educatore è colui che mette in azione una rete e riesce a trasmettere al prossimo che si può essere felici vivendo nella normalità, riscoprendo la gioia delle piccole cose”, le parole di Don Domenico Rica, Salesiano Cappellano del carcere minorile di Torino “Ferrante Aporti”.
Dare dignità al dolore dei ragazzi ma al contempo mostrare loro la luce del mondo, contagiandoli del desiderio di costruire una vita ricca, ma solo di traguardi umani e di aspirazioni. “Sono qui in veste di giovane che si è aperto e si è chiesto quale fosse la sua vocazione – esordisce Michele Parisi, Giudice Tribunale di Bari –. Ho cercato di educare i miei figli al sogno, che non è solo un’aspirazione per noi che abbiamo vissuto Don Bosco. Il sogno in cui crediamo è l’abbandono alla volontà di Dio. La spiritualità salesiana è un modo che permea la vita di chiunque, perché anche il lavoro è una scelta vocazionale”.
Oltre, quindi, al degrado sociale, c’è un altro ostacolo da superare nelle realtà in cui agisce l’operatore salesiano: un vero e proprio deserto culturale che amplifica la già pesante situazione di sottosviluppo, come dichiarato anche da Porfidio Monda, Dirigente Responsabile dell’Ufficio di Piano Ambito N30 e Docente Universitario all’ Università Suor Orsola Benincasa: “La povertà materiale è l’ultima cosa, la domanda è proprio: da dove proviene questa povertà? Le prime povertà sono quelle culturali, che danno origine a povertà relazionali. Nella malavita non c’è un’idea di cultura che vada al di là dell’idea di quantità, non c’è la concezione di una prospettiva di vita”.
Gli stessi concetti sono stati poi ribaditi da tutti gli altri organizzatori e ospiti del dibattito: Don Pasquale Cristiani Salesiano (Ispettore dei salesiani del meridione); don Fabio Bellino Salesiano (Delegato della pastorale giovanile del meridione); don Francesco Preite Salesiano (Vice -presidente del comitato Interregionale SCS/CNOS Don Bosco al Sud – Direttore Centro Giovanile Bari); Don Gennaro Pagano psicologo (Direttore centro educativo “Regina Pacis” Quarto Na); Concetta Crifò (Assistente Sociale U.S.S.M. di Napoli).
In questi giorni di condivisione e scambio reciproco si è consolidato uno dei cardini del messaggio di Don Bosco: nessun ragazzo è mai davvero perso. In tutti è presente “un punto accessibile al bene”. Il nostro compito è proprio questo: trovare angoli di cuore ancora incontaminati e seminare amore e rispetto, dando a ciascuno il coraggio di scegliere la propria vita.