I servizi educativi di don bosco verso i ragazzi più poveri – La Casa Famiglia

“Mentre si organizzavano i mezzi per agevolare l’istruzione religiosa e letteraria apparve altro bisogno assai grande cui era urgente un provvedimento. Molti giovanetti Torinesi e forestieri pieni di buon volere di darsi ad una vita morale e laboriosa; ma invitati a cominciarla solevano rispondere, non avere né pane[,] né vestito, né alloggio ove ricoverarsi almeno per qualche tempo. Per alloggiarne almeno alcuni, che la sera non sapevano più dove ricoverarsi, avevasi preparato un fienile, dove si poteva passare la notte sopra un po’ di paglia. Ma gli uni ripetutamente portarono via le lenzuola, altri le coperte, e infine la stessa paglia fu involata e venduta.
Ora avvenne che una piovosa sera di maggio sul tardi si presentò un giovanetto sui quindici anni tutto inzuppato dall’acqua. Egli dimandava pane e ricovero.
Mia madre l’accolse in cucina, l’avvicinò al fuoco e mentre si riscaldava e si asciugava gli abiti, diedegli minestra e pane da ristorarsi. Nello stesso tempo lo interrogai se era andato a scuola, se aveva parenti, e che mestiere esercitava. Egli mi rispose: Io sono un povero orfano, venuto da Valle di Sesia per cercarmi lavoro. Aveva meco tre franchi, i quali ho tutti consumati prima di poterne altri guadagnare e adesso ho più niente e sono più di nissuno. Sei già promosso alla s. comunione?                             

– Non sono ancora promosso.
– E la cresima?
– Non l’ho ancora ricevuta.
– E a confessarti?
– Ci sono andato qualche volta.
– Adesso dove vuoi andare?

Non so, dimando per carità di poter passare la notte in qualche angolo di questa casa.
Ciò detto si mise a piangere; mia madre piangeva con lui, io era commosso.

– Se sapessi che tu non sei un ladro, cercherei di aggiustarti, ma altri mi portarono via una parte delle coperte e tu mi porterai via l’altra.
– Non signore. Stia tranquillo; io sono povero, ma non ho mai rubato niente. Se vuoi, ripiglio mia madre, io l’accomoderò per questa notte, e dimani Dio provvederà.
– Dove?  – Qui in cucina.
– Vi porterà via fin le pentole.
– Provvederò a che ciò non succeda. 
– Fate pure.

La buona donna aiutata dall’orfanello uscì fuori[,] raccolse alcuni pezzi di mattoni, e con essi fece in cucina quattro pilastrini, sopra cui adagiò alcuni assi, e vi soprapose un saccone, preparando così il primo letto dell’Oratorio. La buona mia Madre fecegli di poi un sermoncino sulla necessità del lavoro, della fedeltà e della religione. Infine lo invitò a recitare le preghiere. Non le so, rispose. Le reciterai con noi, gli disse; e così fu.

Affinché poi ogni cosa fosse assicurata, venne chiusa a chiave la cucina né più si aprì fino al mattino. Questo fu il primo giovane del nostro Ospizio. A questo se ne aggiunse tosto un altro, e poi altri, però per mancanza di sito in quell’anno abbiamo dovuto limitarci a due. Correva l’anno 1847” (MO d.b.)

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