Il 23 Febbraio, presso il Tribunale per i minorenni di Napoli, si è tenuto un convegno sulle nuove sfide dell’esecuzione penale minorile, a cui noi giovani del Servizio Civile abbiamo partecipato. Durante l’incontro, sono intervenute figure professionali che operano attivamente nel settore giudiziario, pedagogico e sanitario. Una frase ci ha particolarmente colpito durante il discorso del dott. Emanuele Esposito, direttore del C.P.A. di Napoli: “Era bello essere giovani, ma io non lo sapevo”. Frase pronunciata da uno dei tanti minori che con grande sacrificio cercano di riscattarsi attraverso l’aiuto dei cosiddetti “professionisti dell’educazione”. Il dott. Esposito non ha esitato a raccontare la storia di questo ragazzo, riportando noi volontarie alla realtà che viviamo ogni giorno nella Comunità alloggio “Casa Pinardi” di Caserta, in particolare rispetto alla nostra formazione come future educatrici. Il minore, collocato in un primo momento in Comunità, venne dato in affidamento ad una famiglia, ma questa purtroppo non fu in grado di gestirlo, tanto da “rispedirlo” indietro. Il giovane aveva imboccato la via della devianza proprio perché la famiglia affidataria non era riuscita a instaurare con lui una buona relazione affettiva ed educativa, ma nulla lo ostacolava dalla voglia di riscattarsi. Questa storia ci ha dato modo di capire quanto sia importante non etichettare un giovane la cui condotta sia deviante, senza approfondire il suo caso. I cosiddetti ragazzi “difficili” non esistono, esistono giovani la cui infanzia è stata negata da un contesto familiare e sociale violato, che non gli ha permesso di crescere e vivere in maniera sana e consapevole. Circostanza che induce ad una “adultizzazione precoce”. Bisogna quindi offrire loro l’opportunità di cambiare. Vanno educati al bello e alla speranza, come sottolineato durante il Convegno dal dott. Piero Avallone, magistrato del Tribunale per i Minorenni di Napoli. E’ fondamentale insegnargli ciò che non hanno avuto la possibilità di conoscere: il bello delle cose. E in questo modo cercare di tirar fuori “il fanciullo” che è in loro, come scriveva Pascoli. Ai minori va restituita la speranza, facendo sì che possano riscattarsi attraverso un percorso educativo individualizzato, strutturato in virtù del lavoro sinergico dell’equipe della Comunità. Educare al bello e alla speranza, uno dei compiti più difficili ma allo stesso tempo più importanti di chi lavora in questo settore. Educare alla normalità: condividere momenti di quotidianità come in una vera famiglia, insieme e nel rispetto reciproco. Educare, trasmettendo i giusti valori come base per un futuro migliore, facendogli capire che non sono soli e che c’è qualcuno che vede in loro del buono. I nostri ragazzi, perché sono anche un po’ “nostri”, hanno bisogno di sentirsi dire “Io credo in te!”; è necessario trasmettergli quella fiducia, condita da stima e affetto, che gli consenta di cambiare e guardare al futuro con maggiore serenità. Noi volontarie del Servizio Civile, grazie all’esperienza che stiamo vivendo anche solo da semplici osservatrici, ci sentiamo in dovere di aiutare e accompagnare i ragazzi in questo loro percorso di crescita volto al riscatto, oltre che personale, anche sociale. A loro bisogna tendere una mano per cambiare vita, nel rispetto delle regole.
Le volontarie del servizio civile nazionale: Miriam Borgnone, Carmela Piccirillo, Francesca Buonciro.